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Tutto chiede salvezza 2 su Netflix, la recensione: noi chiedevamo soltanto coraggio…e invece

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Il successo di pubblico e critica della prima stagione di Tutto chiede salvezza ha convinto Netflix a realizzare la seconda stagione, distribuita oggi, giovedì 26 settembre, sulla piattaforma. Daniele Mencarelli, autore del romanzo da cui era tratta la prima stagione, ha scritto la sceneggiatura di questi 5 nuovi episodi che percorrono le 5 settimane in cui il tribunale dovrà decidere se Daniele (Federico Cesari) potrà o meno continuare a vedere la figlia Maria avuta con Nina (Fotinì Peluso), personaggio non presente nel libro ma introdotto solo nella prima stagione. Sono passati due anni da quando avevamo lasciato Daniele, che ha scelto di diventare infermiere e torna in ospedale per il tirocinio (qui i dettagli su cast e trama).

Tutto chiede salvezza 2: perché?

Al netto dei suoi difetti, la prima stagione di Tutto chiede salvezza poteva tranquillamente esser considerata la miglior produzione italiana di Netflix. Una serie tv coraggiosa, capace di trattare di problemi concreti, di esser cruda e al tempo stesso delicata nel trattare un mondo complesso come quello della mente. Appena annunciato il rinnovo la mia prima reazione è stata: “perché”? Perché andare a riprendere qualcosa che una volta tanto era riuscito bene? Perché andare a stiracchiare storie? La risposta era abbastanza ovvia: il business. Lo fanno tutti, un successo va sfruttato, anche a costo di rovinarlo.

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E ovviamente è quello che è capitato con la seconda stagione di Tutto chiede salvezza. Priva d’anima e di coraggio, capace soltanto di inseguire le facili emozioni, quelle più semplici da raggiungere, quelle che troveresti in una qualsiasi fiction. È mancato il coraggio di volersi staccare davvero dal passato, ma anche di approfondire davvero la mente dei personaggi. Tutto appare superficiale, si vola sulle vite di Daniele, Nina, dei medici e dei pazienti come se fossimo all’interno di una favola. Si accenna al problema dell’immigrazione, all’abbandono dei malati, a una vita senza sostegni ma senza approfondire. C’è chi scappa e chi vive nel giardino spuntando quando serve, al momento opportuno ma di cui non sappiamo assolutamente nulla.

Una stagione costruita con una struttura narrativa basilare, che punta a provocare emozioni istantanee legate a singole scene ma senza costruire un racconto. Tutto è prevedibile, basta aver visto un po’ di fiction e serialità per immaginare quello che potrebbe succedere. Anche l’immensa Drusilla Foer con la sua Matilde, valore aggiunto di questa seconda stagione, finisce per esser sfruttata finché c’è bisogno di aggiungere un’emozione. Manca così tanto la fluidità del racconto che spesso sembra di vedere tante scene montate in cui il trasporto emotivo è forzato e innaturale. Ne risente così anche la recitazione. Non preoccupatevi, la serie sarà un successo, sarà elogiata perché tratta un tema che rende semplice il gioco dell’empatia e favorisce la pubblicazione sui social di frasi banali legate alla salute mentale. Al punto che a volte mi viene da pensare quanto sarebbe più semplice la vita senza il cinico riflettere. Voto 6 Riccardo Cristilli

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Tutto Chiede Salvezza.

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Una stagione sbrigativa di cui avrei fatto a meno

Questa seconda stagione è solo un viaggio emotivo e strappalacrime, fatto di facili emozioni, amicizia e lieto fine. Ma no, nella vita reale in “quei posti”, non funziona così. Nel mondo reale le persone con problemi mentali o ricoverate in TSO spesso sono sole, abbandonate dal sistema, dalle istituzioni, anche dalle famiglie.
Nella vita reale non è tutto all’acqua di rose come nella serie: le patologie non passano in una settimana come accade nei cinque episodi, i dottori non sempre sono “amici”, le dipendenze da psicofarmaci o droghe non si affievoliscono solo con la forza di volontà. Né l’amore, purtroppo, tantomeno l’amicizia, salvano le vite di quelle povere anime alla deriva.

Nel 2024, quando finalmente si parla seriamente di benessere e salute mentale, mi sarei aspettata qualcosa di più da Tutto Chiede Salvezza. Da Mencarelli avrei voluto qualcosa di più. Da Netflix e dal regista Francesco Bruni. Avrei voluto più coraggio, più audacia nella scrittura, nell’approfondimento dei personaggi, nella critica alla società e alle istituzioni, perché questo poteva essere il mezzo giusto, anche se si tratta finzione: è così che si possono provare a cambiare le cose. Non con una stagione di cinque episodi creata ad arte per chi ha la lacrima facile (eccomi) o per diventare virale con video sull’amicizia e la forza dell’amore sui social.

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Mi dispiace, moltissimo, perché amo il romanzo di Mencarelli e la prima stagione – a parte l’ultimo episodio, per me sacrificabile – mi aveva convinta: ma questa serie si arrotola su se stessa e anche stavolta parte bene (i primi due episodi mi avevano sorpreso) e a metà inizia a inciampare per rotolare sul finale.

Diventa sbrigativa, risolve traumi e nodi narrativi con troppa rapidità e poco spessore, piazza un lieto fine dove non servirebbe, e poco prima di raggiungere l’apice drammatico fa un passo indietro, si rimangia tutto quello che ha messo sul piatto fino a quel momento e si conclude come una banale fiction (Rai). Ci sono momenti in cui urlano tutti, ma spesso “i matti” non gridano, spesso stanno in silenzio, si chiudono in loro stessi, consapevoli di essere stati abbandonati da tutti. Questo avrei voluto vedere, una fotografia reale della sofferenza umana, una sofferenza che solo il caso decide a chi affibbiare e a chi no. Un plauso all’immensa Drusilla Foer con la sua Matilde, personaggio sprecato, ma interpretato in maniera eccellente. Voto 6 Giorgia Di Stefano

  • Riccardo Cristilli - 6/10
    6/10
  • Giorgia Di Stefano - 6/10
    6/10

Summary

La seconda stagione di Tutto chiede salvezza non ci ha entusiasmato, avremmo voluto qualcosa di più, una spinta di coraggio, di audacia, un tentativo di andare oltre la banalità che purtroppo non c’è stato

Voto:

6/10
6/10
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