ACAB – La serie su Netflix, adattamento del romanzo omonimo e del film omonimo, prodotta da Cattleya, soffre della stessa malattia della spagnola Respira, sempre di Netflix. Entrambe le serie sentono la necessità di accumulare tragedie ai suoi protagonisti senza dar tempo alla storia di svilupparsi e incappando, per questo, in errori frettolosi di incoerenze temporali e logistiche della realtà. Una piccola avvertenza tecnica, pur senza contenere spoiler troppo massicci, qua e là potrebbero esserci dei riferimenti a scene contenute nella serie che potrebbero essere considerate spoiler.
Superato questo scoglio, torniamo a bomba su ACAB che è una serie che ha grosse potenzialità inespresse e che si salva solo per l’estrema qualità visiva che è tipica dello stile di Cattleya. Altrimenti è una serie tv costruita sull’assurda contraddizione di concentrare in 6 episodi vicende che avrebbero potuto riempire due stagioni da 8/10 episodi, ma al tempo stesso rallentare le scene cercando di costruire la tensione su silenzi, sguardi, campi larghi, primi piani. Purtroppo in questo è figlia della linea scelta in questi tempi bui in cui siamo invasi di serie e in cui Netflix insegue il pubblico, convincendolo in tutti i modi a non andarsene.
ACAB è così carica di eventi che riguardano personaggi con cui il pubblico non ha familiarità. La serie vuole e deve giustamente mostrare la vita dei suoi protagonisti, facendo capire come dietro a un poliziotto che abbia scelto di lavorare nella celere c’è un percorso personale e familiare che lo ha spinto a scegliere quella strada. Una classica background story dei personaggi che è tipica di ogni serie tv. Ma in ACAB è tutto compresso e le storie personali finiscono per soffocare la vicenda complessiva, che non ha un protagonista e di cui sfugge l’obiettivo. Sembra quasi che non ci sia l’interesse di ragionare in termini seriali ma di dilatare la trama di un film.
Gli interventi del reparto della celere sembrano degli intermezzi necessari per giustificare l’esistenza della serie, ma non sono il centro della serie, che sofferma lo sguardo sulle diverse storie personali che però non hanno respiro, avvengono in fretta. Manca totalmente la costruzione della piattaforma di ogni personaggio, che vediamo già nel pieno di una crisi personale, familiare, umana. Avendo chiaro in mente l’obiettivo di voler mostrare questa componente personale dei protagonisti, si sacrifica quella che doveva essere l’anima della serie, la polizia e il lavoro del reparto della celere. Gli interventi sono degli spot su varie situazioni di disagio in cui di volta in volta si cerca di spostare l’attenzione su un membro del reparto. Ma rimango situazioni soffocate dalle vicende personali.
Il problema di ACAB è la fretta. Le singole storie sono credibili e coerenti ma c’è la fretta di raccontarle e non si dà il tempo di svilupparle. La serialità però è fatta di tempo, di personaggi da imparare a conoscere e con cui provare a condividere qualcosa oppure da odiare. Non solo ma dovendo gettare i semi del tragico fin dalle prime scene, si finisce per inserire cose senza alcuna base, lasciando spiazzato (ma in senso negativo) il pubblico. Sebbene si percepisca il desiderio di non voler emettere un giudizio sui personaggi che si raccontano, come è giusto che sia, al tempo stesso si cerca di dare un sottotesto tragico a ciascuno di loro, in questo modo tentando di dare loro quella motivazione che li spinge ad agire.
Anche la regia tende a voler enfatizzare la sofferenza e il dolore attraverso scelte visive che dilatano le scene. ACAB – La serie è carica di una tragicità eccessiva e non necessaria ma funzionale all’obiettivo di trovare l’equilibrio nel racconto, dando ai personaggi delle storie personali che potessero essere immediatamente e facilmente comprensibili per il pubblico. Il mantra che ha accompagnato la realizzazione di ACAB è stato evidentemente quello di aggiungere piuttosto che asciugare, senza però dare il tempo di far vivere le storie al pubblico e ai personaggi. L’arco narrativo ed evolutivo che seguono i personaggi è così troppo frettoloso, i cambiamenti troppo netti e repentini, non naturali ma funzionali all’esigenza degli autori.
ACAB - La serie
ACAB – La serie è affetta dalla sindrome della fretta, della necessità di dare troppo in poco tempo, senza permettere alle storie di crescere e svilupparsi. Peccato perché il materiale c’era.
Voto:
6/10