Sean Baker potrebbe essere il padrino del cinema indipendente contemporaneo: giunto alla visibilità internazionale con titoli quali Tangerine e The Florida Project non ha mai abbandonato la natura fieramente indie dei suoi progetti. E la strategia sembra aver pagato, perché il suo ultimo film Anora è assurto alle vette più alte della settima arte, prima conquistandosi la Palma d’oro a Cannes e, recentemente, ben cinque oscar: miglior film, miglior regia, migliore sceneggiatura originale, miglior montaggio e migliore attrice protagonista. Il film è in pay per view su Prime Video Store dal 6 marzo e su Sky Primafila dal 7 marzo.
Anora: nella notte di Brooklyn
Ani è una spogliarellista e sex worker che vive nella comunità russa di Brighton Beach, a Brooklyn. Proprio la sua sommaria conoscenza del russo fa sì che le venga appioppato come cliente nel night in cui lavora il giovane Vanja, figlio di un ricchissimo oligarca che non parla inglese. I due si trovano bene e decidono di incontrarsi al di fuori del club, per una relazione che da ‘professionale’ inizia a evolversi sul personale, e culmina in un impulsivo matrimonio-lampo a Las Vegas. Ma la voce viaggia, e la famiglia di Vanja non è intenzionata a lasciar correre:
Senza giudicare
Potrei passare diversi paragrafi a parlare di Anora sotto un punto di vista puramente tecnico — la sua texture visiva urbana e burrosa, la fotografia anamorfica, le performance spassose ed energetiche e umane. Sono tutti aspetti sotto cui il film performa a un livello eccellente per una produzione ben sopra il suo budget. Ma, come spesso capita con i film di Baker, la componente che buca lo schermo è la lungimiranza della scrittura. Anora è un bel film in cui tutti i personaggi — protagonista compresa — sono esseri umani discutibili: egoisti, autocentrati, materialisti, aggressivi. E, soprattutto, questo fatto non ci impedisce neanche per un secondo di empatizzarci. Altro che buoni e cattivi.
Anora e lo stato dell’industria
L’aspetto significativo della vincita di Anora non è tanto il fatto che un bel film abbia vinto una serie di statuette d’oro. Da The Brutalist al grande assente The Substance, a fare da protagonisti nella stagione degli awards quest’anno sembrano tornati ad essere il cinema indipendente e quello a medio budget: film con una visione, con una forte mano autoriale, soggetti a minori pressioni di recupero budget e che quindi riescono a fare scelte più connotate, più coraggiose, a volte anche sbagliate ma comunque interessanti. Che dire: what a time to be alive.
Il cast
Mikey Madison è Anora, per tutti Ani, sfrontata sex worker ventitreenne. Mark Ėjdel’štejn è Vanja, lo scapestrato figlio dell’oligarca russo Nikolaj Zacharov che s’invaghisce di Ani. Karen Karagulian è T’oros, faccendiere degli Zacharov a New York che cerca di risolvere la situazione con il suo tirapiedi Garnik, interpretato Vače T’ovmasyan, ed il russo dal cuore d’oro Igor, interpretato da Juri Borisov. Dar’ja Ekamasova è Galina Zacharova, temibile madre di Vanja che gestisce l’impero del marito, interpretato da Aleksej Serebrjakov.
La recensione
Anora è un film eccellente – quasi miracoloso per il suo budget – ma, come spesso capita con i film di Baker, la componente che buca lo schermo è la lungimiranza e l’umanità della scrittura. Altro che buoni e cattivi.
Voto:
9/10