Avetrana – Qui non è Hollywood è una miniserie italiana originale di Disney+ composta da quattro lunghi episodi (lunghissimi quasi da denuncia al tribunale internazionale della serialità) rilasciati il 30 ottobre su Disney+ dopo l’accordo della casa di produzione Groenlandia e Disney che in ottemperanza alla richiesta del tribunale hanno eliminato Avetrana dal titolo. La serie ripercorre un caso di cronaca molto noto e che ha scosso l’Italia ormai 14 anni fa, l’omicidio di Sarah Scazzi per mano, secondo le sentenze, della cugina Sabrina Misseri con la complicità della madre Cosima entrambe condannate all’ergastolo. Lo zio Michele Misseri, che continua a dichiararsi l’unico colpevole, è stato condannato a 8 anni per occultamento di cadavere ed è già uscito.
La miniserie è ispirata al libro di Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni “Sarah: la ragazza di Avetrana” edito da Fandango Libri che hanno contribuito alle sceneggiature con il regista Pippo Mezzapesa, Antonella Gaeta e Davide Serino. Giulia Perulli interpreta Sabrina, Vanessa Scalera è Cosima, Paolo De Vita è Michele, Federica Pala è Sarah, Anna Ferzetti è la giornalista Daniela, Giancarlo Commare è Ivano.
Qui non è Hollywood, il punto di vista di chi non ama il true crime
Personalmente il true crime duro e puro, quello delle docu-serie che fanno riaprire i casi, delle serie che raccontano in modo didascalico i fatti lo trovo una tipologia di racconto poco interessante. Non a caso l’aspetto che mi ha convinto a guardare la serie è stato il tanto contestato poster che ha fatto molto discutere sui social (basta vedere anche i commenti sulla nostra pagina facebook). Grottesco e a tratti provocatorio, quel poster era perfetto per scacciare l’idea che si trattasse di una miniserie che volesse ripercorrere in un modo standard, da fiction una vicenda di cronaca.
Perché Avetrana racconta quel caso senza cercare di trovare la verità, senza provare a ribaltare le sentenze, ma portando un affresco su una realtà provinciale desolata e desolante che brilla della luce televisiva, così come oggi brillerebbe di quella dei social. Un mondo in cui pastura alla perfezione quel sostrato televisivo costantemente alla ricerca del fenomeno da buttare davanti alla telecamera. Un mostro che si alimenta di dirette e opinioni vuote, parole prive di senso che portano a organizzare le gite sul luogo del delitto. E la persona da condannare non è chi tiene in mano la telecamera o chi organizza le visite ma chi a quelle visite partecipa e chi quei programmi guarda, cercando rifugio dalla propria noia attraverso il dolore degli altri.
Qui non è Hollywood ma una provincia lontana anni luce da Hollywood. Una realtà che è Italia ma potrebbe essere anche qualsiasi altro luogo del mondo (al netto del dialetto e delle specificità locali). Ma la miniserie ha anche diversi difetti a partire da un’eccessiva lunghezza e a una frammentazione degli episodi monografici che è in realtà poco coraggiosa rispetto a quello che poteva essere. Non assistiamo al racconto da quattro punti di vista, ma i 4 capitoli continuano ad aggiungere elementi alla storia, rendendo di fatto superflua questa suddivisione, se non per il modo con cui i personaggi entrano nella storia.
La lunghezza comporta una certa faticosità nella sceneggiatura che più volte sembra girare a vuoto ribadendo elementi già trattati. Sicuramente è una serie coraggiosa, che fa e farà discutere e che dimostra una capacità italiana di allontanarsi da terreni tracciati. Curiosamente arriva in un mese che ha visto Netflix abbracciare un conformismo da tv generalista antica (Inganno, Lidia Poet) e le altre piattaforme innovare spaziando tra i generi e i linguaggi (Citadel:Diana, Hanno ucciso l’uomo ragno, Avetrana). Voto 7 Riccardo Cristilli
Il punto di vista di un’appassionata di true crime
Sono diventata appassionata di true crime in tempi relativamente recenti, e proprio grazie ad alcune docu-serie ben riuscite di Netflix e al proliferare di podcast (alcune ben fatti, altri meno) che riaprono casi, li analizzano, li spiegano, entrando nel vivo delle indagini e cercando di spiegare i fatti “oltre ogni ragionevole dubbio”. Al caso di Avetrana mi sono avvicinata un paio di anni fa proprio grazie a uno degli migliori podcast (sul tema) in circolazione, “Indagini” di Stefano Nazzi (su Il Post). Ciò che subito mi colpì della vicenda fa parte proprio dei timori del sindaco del paese che al momento ha fatto bloccare la messa in onda della serie: la provincia, il torbido nascosto sotto i tappeti delle case, l’omertà, le dicerie, a volte più pericolose di un’arma.
Il caso di Sarah Scazzi è tutto racchiuso in queste cose, se ci pensiamo: nell’ignoranza, nei pregiudizi, nella gelosia, nell’invidia. Un’invidia che nasce tra le mura di casa, tra sorelle, tra cugine, tra madri e figlie. L’ignoranza che porta un uomo, che di giorno lavora nei campi e di notte dorme in garage, a mentire più volte, creare il caos, aggiungere confusione a una tragedia già di suo poco chiara. L’omertà di un fioraio la cui testimonianza, tempo dopo, ha ribaltato i punti di vista e l’opinione dell’accusa. Tutti questi elementi, sono tipici della vita di provincia, dove i rapporti familiari vengono protetti e difesi fino alla morte (appunto).
La serie (che spero vedrete presto su Disney+), riesce a mettere in luce proprio queste caratteristiche, puntando l’obiettivo su quel clima morboso e ossessivo che vigeva in casa Misseri e Scazzi, in quella calda estate, nella “villetta degli orrori“. Il dialetto, l’invidia di una ventenne nei confronti di una ragazzina, la successiva voglia di apparire in televisione, le bugie, le frasi dette sotto voce. Il circo mediatico esploso di lì a poco, l’esibizionismo delle persone, la pornografia del dolore, il paese di provincia preso d’assalto, la gente che guarda da dietro le persiane.
Avetrana – Qui non è Hollywood riesce a restituire quest’immagine, questa fotografia della provincia, e lo fa grazie innanzitutto all’interpretazione di Giulia Perulli (Sabrina), Vanessa Scalera (Cosima), Paolo De Vita (Michele), bravissimi nel dar vita ai loro personaggi, autentici nell’accento e nelle espressioni. La sceneggiatura, i dialoghi, l’intensità della recitazione riescono a comunicare perfettamente la noia, la disperazione, il rancore covato dai Misseri e a mettere in scena l’omicidio di una ragazzina innocente, nato per una “scaramuccia” e diventato un caso mediatico inarrestabile (ancora oggi, tra l’altro).
La colonna sonora pop mi ha invece infastidita, l’ho trovata straniante e forzata, così come la durata degli episodi, eccessivamente lunghi (poco più di un’ora ciascuno) e spesso ridondanti. Ho trovati i primi due più riusciti dei due successivi in termini di fluidità nella narrazione e armonia generale del racconto. Avetrana – Qui non è Hollywood è un esperimento coraggioso e ben realizzato, certo non all’altezza della precisione e dell’approfondimento tipico di prodotti true crime, ma altrettanto interessante proprio perché diverso dal solito. Voto 6.5 Giorgia Di Stefano
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Riccardo Cristilli - 7/10
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Giorgia Di Stefano - 6.5/10
6.5/10
Avetrana Qui non è Hollywood
Pregi e difetti di una miniserie in 4 episodi che si allontana dal racconto didascalico per puntare sulla critica sociale e sul grottesco dei suoi personaggi.
Voto:
6.8/10