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Death of a Unicorn, la comfort zone di una satira sull’1% in chiave horror fantastico

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A24, è la casa di produzione che porta il nome della nostra Autostrada Teramo-Roma, ha abituato il pubblico a film d’autore (e ultimamente anche qualche serie) con tematiche attuali e uno stile unico. Death of a Unicorn in uscita al cinema in Italia il 10 aprile, non è da meno, ma è la dimostrazione di come una formula di successo rischia di trasformarsi in una comfort zone ripetitiva. Anche gli autori ormai sanno come realizzare un progetto che poi possa essere distribuito da A24, che aggiunge valore al film, un po’ come mettere il marchio HBO su una serie.

Death of a Unicorn è una combinazione di elementi che sembrano studiati a tavolino per piacere a chi deve piacere, per blandire i critici di tutto il mondo, per stuzzicare gli intellettuali e per interessare una certa tipologia di pubblico. Il risultato è un film di plastica, con una satira superficiale su un tema trito e ritrito come l’egoismo dell’1% del mondo, dei più ricchi che vivono in una bolla separata dagli altri e dal resto, che si fanno favori tra loro. Una famiglia tipica, che vive isolata, guidata da un patriarca preferibilmente malato, ha una moglie bella e arrivista e un figlio stupidotto cresciuto nella bambagia e per questo fuori dal mondo.

Death of a Unicorn
Credit: Balazs Goldi
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Anche i domestici/guardie del corpo sono abbastanza tipici di questa formula, con una donna tosta e un uomo che incarna più il lato comico. A tutto questo aggiungiamo il classico padre single (vedovo in questo caso) con figlia adolescente (che gli svapa in macchina ma poi si sorprende quando lo scopre), un uomo medio che fa tutto per sua figlia e arriva alla villa dei ricconi con il sogno di cambiare vita e resta in bilico tra l’umiliarsi davanti ai potenti e una stabilità da mostrare alla figlia.

L’elemento di disturbo sono questi misteriosi unicorni che vivono nel bosco che circonda la villa dei ricconi, che nonostante vivano da quelle parti, solo quando arriva il protagonista e la figlia scoprono la loro esistenza. Mistero, morti, violenze per dare quel tocco horror e una storia che scappa via veloce veloce, con quelle battute buttate qui e là giusto per strappare qualche sorriso.

Death of a Unicorn
Credit: Balazs Goldi
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Death of a Unicorn finisce per essere un film che non si capisce bene a chi dovrebbe interessare. Troppo poco horror per i fan del genere, decisamente non una favola per tutta la famiglia nonostante la presenza di Jenna Ortega potrebbe attirarli. La satira è troppo superficiale per essere un motivo di attrazione, così come la morale, il significato che si può estrapolare da tutta la vicenda è troppo banale e abusato per poter dar valore a tutto il film. Cosa resta di Death of a Unicorn? Il cast da Paul Rudd a Jenna Ortega, da Tea Leoni a Will Poulter e Richard E. Grant che però interpretano personaggi perfettamente nelle loro corde, anche loro non lontani da una comfort zone.

Complessivamente è un film riuscito, ha tutto messo al posto giusto, è una macchina che funziona alla perfezione. Anche troppo.

Summary

Death of a Unicorn è un film da comfort zone intellettual-alternativa. Ha tutto per funzionare, tutto è costruito alla perfezione, ma per questo sa di costruito e non affonda mai davvero preferendo restare sulla superficie affrontando una satira sul presente che sa di già visto

Voto:

6/10
6/10
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