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Di Padre in Figlio. Vita da Tifosi, il documentario per raccontare il tifo, stasera su Rai 3 sabato 14 settembre

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Di Padre in Figlio. Vita da Tifosi è un documentario di Rai 3 realizzato da Aesse Video con Rai Documentari per descrivere la vita del tifoso e come questa passione si tramanda tra genitori e figli, provando a tenersi lontani dagli stereotipi. L’appuntamento è sabato 14 settembre alle 21:20 anche in streaming su RaiPlay.

Di Padre in Figlio. Vita da Tifosi di cosa parla?

Di Padre in Figlio. Vita da Tifosi parla ovviamente dei tifosi, del mondo delle Curve, degli ultras, con gli aspetti sociologici e antropologici del tifo calcistico in quanto collante tra esseri umani, legame indissolubile che va oltre ogni cosa e unisce persone così tanto diverse, ma accomunate dalla stessa passione. Un racconto che va in territori lontani dagli stereotipi della violenza e della politica per raccontare vicende umane ed emozioni sincere.

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Le storie dei personaggi famosi

In Di Padre in Figlio. Vita da Tifosi stasera su Rai 3, ci saranno storie di persone comuni e di tifosi famosi come Andrea Bocelli, Paolo Bonolis e Salvo Ficarra che ci accompagneranno su e giù per lo Stivale da Genova a Palermo, passando per Monza, Bologna, Pisa e Roma. Alla scoperta di una delle più grandi passioni che gli italiani tramandano ai figli e che fa battere il cuore, generazione dopo generazione. Nella vita si possono cambiare partner, sesso, religione o partito politico, ma la fede calcistica è una delle poche cose che non si cambierà mai. Il tifo è appartenenza. È rito. È qualcosa che resiste al tempo, alle delusioni, alle tentazioni.

Per questo i tifosi più appassionati non sono comuni spettatori di una partita di calcio, ma decidono di vivere in un territorio sacro: la Curva. Un luogo che sovverte per novanta minuti il concetto di stratificazione sociale. E allora in Curva il medico è accanto l’operaio, l’artigiano spalla a spalla con l’avvocato o con il tifoso Vip. C’è chi nella vita di tutti i giorni fatica a trovare un’identità, c’è chi pur avendone una – magari anche una celebre – desidera perderla almeno per il tempo di una partita. Su quei gradoni sono tutti uguali. Sono tutti fratelli. Sono tutti lì, nell’estasi di un territorio sacro ed esclusivo che costituisce un’entità autonoma all’interno dello stadio. Per loro esiste soltanto un’eredità comune che molto spesso passa di generazione in generazione.

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