Django è una serie tv di qualità. Potrebbe sembrare una banalità da dire ma in un periodo come quello che stiamo vivendo, in cui sembriamo esserci accontentati e rassegnati a vedere produzioni mediocri, non c’è nulla di più efficace da dire. Una serie tv di qualità a tutti i livelli: regia, sceneggiatura, fotografia, recitazione. Django (dal 17 febbraio su Sky e NOW, qui tutti i dettagli) è la conferma di un lavoro compiuto da anni da Sky sul fronte seriale. Un tema ricorrente ma che è sempre bene ricordare.
Sky Italia ha lavorato da anni nella costruzione di un’immaginario seriale di qualità, partendo da prodotti diventati col tempo cult come Romanzo Criminale e Gomorra, costruendo un catalogo con una precisa identità fatta di storie forti, spesso legate al crimine, ma che nel corso degli anni si sono ampliate a generi diversi come dimostrano Christian, Il Re, Django, Call My Agent e anche prodotti meno riusciti come Diavoli e Il Grande Gioco. Una qualità che ha sviluppato intorno ai prodotti HBO (e della vecchia Showtime).
Django ti cattura…ma con calma
Django è una serie tv che sa come catturare lo spettatore. Parte in modo forte e dirompente introducendo i personaggi, portandoli allo scontro anche fisico, per poi rallentare e prendersi il proprio tempo per sviluppare la storia. Non insegue la scena a effetto, quella che deve ridestare l’attenzione ma procede per accumulazione. Il western si contamina con il drama puro e si riscopre moderno, come già ha dimostrato anche That Dirty Black Bag. Non serie tv per nostalgici ma prodotti contemporanei, riscoprendo una realtà che offre una libertà narrativa che va oltre le convenzioni del presente.
Guardare al passato permette di uscire da alcuni canoni di oggi, dall’uso degli smartphone che tagliano ogni forma di relazione e distanza, al politicamente corretto. Il western permette di prendersi il tempo per raccontare i viaggi a cavallo, il disagio dell’incomunicabilità, la bellezza del silenzio e dell’inconsapevolezza. Al tempo stesso però Django tratta temi contemporanei, incarnati dalla bellezza ideale di New Babylon, una città dove tutti sono bene accetti e per questo osteggiata dal potere. Un santuario in cui tutto è lecito, ma che finisce per avere le sue regole da rispettare.
Matthias Schoenaerts nei panni di Django sembra non avere il carisma adatto per il ruolo del protagonista, non a caso la scena è rubata dal John Ellis di Nicholas Pinnock e dall’inquietante, affascinante, altezzosa, Elizabeth di Noomi Rapace. Anche Lisa Vicari appare ogni tanto fuori fuoco, incastrata in un ruolo in bilico tra l’innocente giovinezza e la gravosa maturità. Gli italiani che spuntano qua e là in alcuni camei da Franco Nero a Vinicio Marchioni fanno il loro mestiere in inglese, ma a sorprendere è Manuel Agnelli che non sembra nemmeno recitare per quanto è un ruolo ritagliato su di lui. Imponente la messa in scena e la ricostruzione, l’ambientazione brulla fa respirare a pieno quel periodo sporco e imperfetto.
La recensione
Django è una serie tv che sa come catturare lo spettatore. Parte in modo forte e dirompente introducendo i personaggi, portandoli allo scontro anche fisico, per poi rallentare e prendersi il proprio tempo per sviluppare la storia. Il western si contamina con il drama puro e si riscopre moderno, non serie tv per nostalgici ma prodotti contemporanei, riscoprendo una realtà che offre una libertà narrativa che va oltre le convenzioni del presente.
Voto:
8/10