Nell’ultimo decennio è particolarmente popolare un genere cinematografico che potremmo chiamare celebrazione dell’invenzione: il racconto, spesso pesantemente romanzato, del raggiungimento di un traguardo scientifico/industriale e, soprattutto, le persone che lo hanno reso possibile. A raccogliere la torcia di Oppenheimer, Flamin’ hot e Tetris è Ben Taylor con Joy, produzione originale Netflix su una sceneggiatura di Jack Thorne. Il film è disponibile a partire dal 22 novembre e, dopo un inizio in sordina, si è ricavato una solida posizione al centro della top ten.
Joy: una ricerca impossibile
Jean Purdy è una giovane infermiera che si propone per una posizione da manager di laboratorio sotto Bob Edwards, un biologo visionario convinto di poter curare l’infertilità con una tecnica di fecondazione in vitro. I due riescono a reclutare anche il ginecologo Robert Steptoe, pioniere della laparoscopia e brillante chirurgo, e la squadra stabilisce un piccolo laboratorio di ricerca nello scalcinato ospedale periferico di Oldham. Fra la mancanza di fondi, l’ostilità dell’opinione pubblica e una strenua opposizione del mondo religioso (che investirà anche persone molto vicine a Jean), la strada che li condurrà fino alla nascita della prima “bambina in provetta” sembra quasi impossibile…
Con le idee chiare
Il peccato originale in cui spesso incorrono i film in stile celebrazione dell’invenzione è una mancanza di chiarezza sul perché stiano raccontando la loro storia. Certo, è importante perché ne abbiamo tutti sentito parlare, ma perché dovremmo investire tempo e attenzione a guardare chi l’ha resa possibile? Joy sa esattamente quello che vuole, ovvero ricordarci quello che la scienza dovrebbe essere: non un motore dell’industria, dell’economia o della geopolitica, ma il mezzo attraverso cui rendere migliore l’esistenza degli altri esseri umani — persone vere, con nomi, cognomi, storie e problemi. Questa concretezza chiara e col cuore al posto giusto ci fa mandar giù di buon grado il paio di momenti un po’ troppo inspirational tipici del genere, che comunque per fortuna il film cerca pietosamente di tenere al minimo.
Joy: un one woman show
Nulla di tutto questo servirebbe però a molto senza la protagonista Thomasin McKenzie. In un’interpretazione decisamente più matura di come l’avevamo vista in Last Night in Soho, riesce allo stesso tempo a rimanere understated e a riempire lo schermo di energia. Anche Bill Nighy è come al solito una gioia da guardare e, anche se il ruolo del sobrio Steptoe non lo utilizzi appieno, lui riesce comunque a riempirlo di verve e umanità.
Il cast
Thomasin McKenzie è Jean Purdy, la direttrice del laboratorio di Oldham. James Norton è Bob Edwards, un biologo brillante e dalle mire fin troppo ambiziose, mentre Bill Nighy è Patrick Steptoe, chirurgo prossimo alla pensione che decide di imbarcarsi in un ultimo grande progetto. Infine, Joanna Scanlan interpreta la madre di Jean, che ama molto la figlia ma che disapprova la sua missione professionale.
La recensione
Joy ci ricorda quello che la scienza dovrebbe essere: non il motore dell’industria, dell’economia o della geopolitica, ma il mezzo attraverso cui rendere migliore l’esistenza degli altri esseri umani, riuscendo anche a non risultare eccessivamente saccarino.
Voto:
7/10