Kobe – Una storia italiana il documentario di Prime Video su Kobe Bryant disponibile dal 15 settembre
Kobe – Una storia italiana è il documentario disponibile su Prime Video da giovedì 15 settembre e che racconta l’infanzia del campione trascorsa in Italia. Infatti uno dei più grandi giocatori di basket della storia è cresciuto nei campetti di pallacanestro della provincia italiana tra pastasciutta, vita di paese e tifo per il calcio.
Una favola unica raccontata da chi gli ha vissuto accanto in quegli anni incredibili: la storia del giovane Black Mamba, l’adolescente che conquistò l’Italia del basket e che rimase stregato dal nostro Paese. Diretto da Jesus Garcés Lambert, il documentario è scritto da Giovanni Filippetto e prodotto da Alessandro Lostia per Indigo Stories.
Kobe – Una storia Italiana: la storia di un campione
Come ha iniziato la sua carriera Kobe Bryant?
Chi era fuori dal campo prima di diventare “Black Mamba”, il campione, il mito, uno dei più forti giocatori di basket di tutti i tempi?
Ma soprattutto, esisteva un altro Kobe oltre al campione NBA?
Elencare i suoi traguardi, le vittorie, i record, oggi è superfluo: basta visitare la pagina Wikipedia per farsi un’idea, semmai qualcuno ancora non lo sapesse perché negli ultimi anni ha vissuto sulla Luna.
Kobe Bryant, campione indiscusso. Una buona famiglia alle spalle, un passato a volte oscuro, un finale tragico e devastante.
Kobe figlio del campione Joe Bryant, Kobe marito e padre, Kobe punta di diamante dei Los Angeles Lakers.
Eroe per chi il sogno di giocare nell’NBA lo rincorre tutt’oggi; un mito per chi quel sogno ha dovuto accantonarlo. La sua storia rivive in Kobe – Una storia italiana il documentario su Prime Video.
Bryant iniziò a giocare a basket sin da piccolo e visse in Italia dai 6 ai 13 anni di età, spostandosi nelle varie città dei club per i quali giocava suo padre. E proprio in Italia iniziò la sua indimenticabile e lunga storia d’amore con il basket: tra il 1984 e il 1991 passò da Rieti a Reggio Calabria, per proseguire a Pistoia e infine a Reggio Emilia.
Chi lo ha incontrato in quegli anni, non lo ha mai dimenticato. Chi lo ha incrociato sul suo cammino, non smette di pensare a lui ancora oggi, a distanza di tanti anni da quell’incontro, e di pochi anni dalla tragedia che ha stroncato la vita di Kobe, di sua figlia Gianna e di altre sette persone a bordo del bordo dell’elicottero Sikorsky S-76B che si schiantò il 20 gennaio del 2020.
La lettera d’amore al basket
“Dear basketball”, la lettera di addio che Kobe scrisse prima della sua ultima indimenticabile stagione nell’NBA nel 2016, risuona ancora nelle orecchie di chi lo ha conosciuto e amato, in quelle dei suoi compagni e dei suoi avversari, dei suoi fan, di chi ogni giorno si ispira ancora a lui per trovare la forza e il coraggio di mettercela tutta per realizzare il suo sogno.
Una lettera che inizia con una dichiarazione d’amore, tra le più belle di tutti i tempi.
“Un amore così profondo che ti ho dato tutto
dalla mia mente al mio corpo
dal mio spirito alla mia anima.
ho saputo che una cosa era reale:
mi ero innamorato di te”.
E che finisce con una promessa, che Kobe avrebbe certamente mantenuto per tanti tanti anni ancora, se il destino non avesse scelto per lui.
“Sono pronto a lasciarti andare.
E voglio che tu lo sappia
così entrambi possiamo assaporare ogni momento che ci rimane insieme.
I momenti buoni e quelli meno buoni”.
Kobe – Una storia italiana è una “favola” raccontata da chi gli ha vissuto accanto in quegli anni incredibili: gli amici, i compagni di scuola e di squadra, gli allenatori. Sono loro le voci che ripercorrono la storia del giovane Black Mamba, l’adolescente che conquistò l’Italia del basket e che rimase stregato dal nostro Paese.
Sono voci che sorridono malinconicamente pensando a Kobe, che si commuovono leggendo frasi della sua lettera al basket, che tra lacrime e risate ci parlano ancora da lui.
Tra immagini di archivio, spezzoni radiofonici, foto e ricordi di ogni tipo, il film riuscirà a commuovere fan e spettatori senza calcare troppo la mano o cadere in frasi banali o retoriche. L’unica nota dolente, le immagini di fiction che stonano un po’ con la coralità genuina ricercata dal regista e che interrompono la sospensione dalla realtà che si innesca nello spettatore sin dal primo minuto.
“Ci siamo dati entrambi tutto quello che avevamo.
E sappiamo entrambi, indipendentemente da cosa farò,
che rimarrò per sempre quel bambino
con i calzini arrotolati
bidone della spazzatura nell’angolo
5 secondi da giocare.
Palla tra le mie mani.
5… 4… 3… 2… 1…
Ti amerò per sempre,
Kobe”