Mi rendo conto di essere spesso poco gentile con gli originali Netflix, e con il direct-to-streaming in generale. Non perché penso che un film debba avere un’uscita cinematografica per essere cinema, sia chiaro, ma perché spesso gli streamer approfittano del loro pubblico (ormai assuefatto ai pagamenti mensili) per tirare fuori film pigri. Ero quindi scettico come al solito quando ho approcciato La dolce villa, l’ennesima romcom americana ambientata in una Toscana immaginaria e bucolica che si è conquistata un posto in cima alla top ten. Ma, per una volta, il film di Mark Waters mi ha colto di sorpresa.
La dolce villa: vecchie ville e teste calde
Eric, un ex-chef americano diventato consulente in seguito alla morte della moglie, raggiunge la figlia Olivia nella cittadina di Montezara, in Maremma. Lì la ragazza ha intenzione di acquistare una delle famose case a un euro, offerte in vendita dal comune per combattere lo spopolamento della provincia e stimolare il turismo. Il cuore di Olivia cade su una decrepita villa in campagna, che i due iniziano a ristrutturare con l’aiuto delle maestranze locali e della sindaca Francesca, che vuole che la prima casa a un euro sia un successone. Dopo una serie di dubbi iniziali, anche Eric inizierà ad apprezzare l’arte del dolce far niente, la ricca tavolozza di personaggi locali e perfino la vecchia villa, che dopo tanti anni gli dà un progetto comune con la figlia. E, soprattutto, la compagnia di una certa sindaca, che gli fa venire il desiderio di tornare a cucinare…
Colore locale
Netflix, si sa, tende a usare le sue location estere come poco più che fondali privi di spessore. La dolce villa riesce invece a ritrarre una provincia italiana che — pur non essendo di certo neorealista — risuona come vera. Sono le piccole cose, come le stazioni del treno regionale e piazzetta, ma anche quelle più grandi, come il tema dello svuotamento in favore della grande città o la lotta contro la macchina burocratica.
La dolce villa e il poco che basta
Senza la pretesa di voler raccontare in modo serio né le relazioni umane né la provincia, La dolce villa ha tutto quello che serve per farci ridacchiare e scaldarci il cuore per un paio d’ore: due protagonisti con cui riusciamo a empatizzare — Violante Placido è semplicemente incantevole — un cast di comprimari interessanti e suppergiù credibili, perfino qualche gag sulle nonne influencer meno cringe del previsto. Condisce il tutto una colonna sonora pop d’ispirazione sanremese che, visto il periodo, non stona.
Il cast
Scott Foley è Eric, uno chef che dalla morte della moglie ha smesso di cucinare, mentre Maia Reficco è sua figlia Olivia, che ha deciso di mollare tutto e cercare la propria strada in Italia. Violante Placido è Francesca, la sindaca di Montezara che cerca di portare la cittadina nel presente; Giuseppe Futia è Giovanni, un giovane ristoratore con un’esplicito debole per Olivia; Simone Luglio è Nino, paterno tuttofare del paese che supervisiona i lavori e prende Olivia sotto la sua ala, mentre Tommaso Basili è Bernardo, un geometra locale con delle seconde mire nei confronti di Francesca.
La recensione
Senza la pretesa di voler raccontare in modo serio né le relazioni umane né la provincia, La dolce villa ha tutto quello che serve per farci ridacchiare e scaldarci il cuore per un paio d’ore. Per una volta, un originale Netflix ricco di charme.
Voto:
7/10