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La misura del dubbio: un legal intimista con finale destabilizzante – La recensione

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Nella quasi cinquantennale carriera Daniel Auteil ha calcato più volte il set del tribunale. Ora ci torna in La misura del dubbio, suo quinto film da regista, co-scritto con Steven Mitz e presentato al Festival di Cannes. Il film esce nelle sale italiane il 19 settembre 2024 per Bim distribuzione.

La misura del dubbio: un dramma processuale di penombre

Jean Monier non difende un caso penale da più quindici anni, da quando un uomo che ha fatto uscire di prigione ha ucciso ancora. Quando la moglie e collega Anne gli chiede il favore di sostituirla per una chiamata notturna, Monier si trova invischiato però nel caso di Nicolas Milik: un uomo mite e remissivo accusato di aver assassinato la moglie a sangue freddo. Le prove contro Nicolas sono al più circostanziali e una condanna allontanerebbe l’uomo dai figli per sempre. Jean si trova sempre più personalmente coinvolto nella vicenda, e quella che sarebbe dovuta essere una difesa d’ufficio si trasforma in un processo-crociata che mette a rischio la sua carriera in più di un modo.

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Lo sguardo sotto la toga 

Girare un legal drama in francese su un caso di presunto assassinio coniugale a meno di un anno da Anatomia di una caduta è una bella sfida. La misura del dubbio manca dell’energia del film di Triet ma tiene botta, spostando lo sguardo sulle minuzie processuali e sull’impatto del processo sulla figura dell’avvocato, a cui è chiesto di tenersi distaccato ma che rimane un essere umano, con le proprie idiosincrasie ed un senso della giustizia individuale.
La presenza di un veterano come Auteil dietro e davanti la macchina da presa si fa sentire. Il film è sempre teso, intrattiene e scorre veloce fino ad arrivare a un finale a sorpresa che ovviamente non spoileriamo, ma che colora di nuove sfumature e spessore l’intera vicenda. 

La misura del dubbio in un mondo di spigoli

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Visivamente La misura del dubbio costruisce un mondo duro e geometrico fatto di cemento e vetro, una scenografia appropriata in cui far aggirare le solitudini di Jean e Nicolas. Va evidenziata l’interpretazione di Gadebois nei panni di quest’ultimo, sempre misurata ma non per questo meno carismatica, ricca di sfumature e capace di scuotere, soprattutto sul finale.
In una nota completamente personale, in una sottotrama Jean e Sophie si trovano ad assistere un giovane torero, cosa che fornisce una scusa per inserire sequenze intime e un po’ oniriche popolate da immagini dei tori e dell’arena. L’immagine funziona e aiuta il ritmo del film, ma l’intermezzo-con-gli-animali-in-slow-motion sta diventando un espediente un po’ troppo di default (rimandiamo a Dall’alto di una fredda torre per un uso un po’ più maldestro), e sarebbe, a mio avviso, da considerare vietato.

Il cast

Daniel Auteil, oltre ad aver diretto il film, ne interpreta il protagonista Jean Monier, un avvocato che si lascia coinvolgere personalmente nei suoi casi. Grégory Gadebois è il suo assistito Nicolas Milik, un uomo mite e dedito ai figli accusato di un crimine orribile. Sidse Babett Knudsen è Sophie, moglie e collega di Jean, mentre Alice Belaïdi interpreta l’inarrestabile pubblico ministero del processo.

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La recensione

La misura del dubbio è un legal sempre teso, che intrattiene e scorre veloce fino ad arrivare a un finale a sorpresa che colora di nuove sfumature l’intera vicenda.

Voto:

7/10
7/10
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