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Megalopolis: caos, camp, Coppola — La recensione

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Megalopolis è il classico film su cui tutti hanno qualcosa da dire, o perlomeno un’idea, da molto prima che esca nelle sale. D’altro canto, come evitarlo? Progetto personale autofinanziato di Francis Ford Coppola, con uno sviluppo quarantennale, un cast iridato e una storia di produzione segnata da uno scandalo dopo l’altro: la ricetta perfetta per diventare più oggetto mediale che film di per sé. E nonostante tutto questo bagaglio Megalopolis, nei cinema italiani dal 16 ottobre, è riuscito a sorprenderci.

Megalopolis: una favola di visioni e pragmatismo

In una New York vagamente futura ispirata alla tarda repubblica romana, la società è divisa fra una casta di ricchi e dissoluti patrizi e un popolo che vive nella miseria. È in questa cornice che  l’architetto Cesar Catilina cerca di portare avanti il progetto di Megalopolis, il nucleo per una città futura costruita con un materiale high-tech di sua invenzione chiamato Megalon. Contro di lui però non c’è solo il sindaco Franklyn Cicero, pragmatico e corrotto, ma soprattutto i mille inganni della società patrizia, dove congiure e coltellate alle spalle sono all’ordine del giorno. Ma grazie al sostegno inaspettato della figlia del sindaco, Julia, per un futuro diverso Catilina è pronto a sfidare anche la morte…

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La naïveté dà, la naïveté toglie

L’unico appunto che ho scritto a caldo uscendo dalla sala è stato: “non granché come film di Hollywood, ottimo come videoarte o pezzo di teatro sperimentale.” Che, tagliato con l’accetta, è un discreto giudizio riassuntivo dell’esperienza-film. Siamo lontani anni luce dall’orologeria drammaturgica dalla precisione svizzera di un blockbuster o dalla pulizia e dalla chiarezza del contemporaneo cinema d’autore. Megalopolis è un film pieno di sbavature, in cui ogni scena è un esperimento: alcuni si schiantano fragorosamente a terra, altri ci regalano momenti di cinema il cui sapore s’incontra veramente di rado. Fra la cgi di dubbia natura e un color grading giallissimo ci sono sequenze girate in modo super interessante, momenti di astratto spiazzamento e siparietti che strizzano allo spettatore un’occhio divertito. 

Megalopolis e l’elefante nella stanza

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Un elemento che trovo dolosamente mancante nella copertura del film è infatti che Megalopolis è una favola, sì, ma una favola tremendamente camp. Il cuore ideologico e valoriale del film è presentato con assoluta sincerità, ma tutto il contorno — l’orgia da due ore e venti di personaggi, moda e melodramma — si prende molto poco sul serio.
Insomma, Megalopolis è un testamento di fine carriera ma forse soprattutto di fine vita, il lavoro di un ottantacinquenne che si guarda alle spalle per capire per cosa sia stata tutta la strada percorsa. Un film pieno di grinze e di carattere, un progetto assurdo che per puro caso è riuscito a vedere la luce del giorno per celebrare un’ultima volta una stupida, incrollabile fede nel futuro.

Il cast

Adam Driver interpreta il visionario architetto Cesar Catilina. Nathalie Emmanuel è Julia Cicero, assistente dell’architetto e figlia del suo acerrimo rivale, il sindaco Franklyn Cicero, interpretato da Giancarlo Esposito. Audrey Plaza è la reporter Wow Platinum, Jon Voight è il ricco banchiere Hamilton Crassus e Shia LaBeouf è Clodio Pulcher, erratico cugino di Cesar con una sete di vendetta. Infine, Laurence Fishburne interpreta Fundi, assistente di Catilina e voce narrante del film, che vede anche Jason Schwartzmann, Dustin Hoffman e Talia Shire in ruoli minori.

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La recensione

Megalopolis è una favola tremendamente camp con un cuore sincero, un’orgia da due ore e venti di congiure, moda e melodramma che, contrariamente a quanto molti dicono, si prende molto poco sul serio. O si ama o si odia.

Voto:

7/10
7/10
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