I Leoni di Sicilia è la miniserie di Disney+ che da martedì 10 settembre arriva su Rai 1, prodotta da Lotus di Leone Film Group, diretta da Paolo Genovese con Miriam Leone, Michele Riondino, Vinicio Marchioni nel cast. Un period drama all’italiana che racconta la storia vera della dinastia della famiglia Florio, partiti dalla Calabria aprendo un negozio di spezie a Palermo e diventati tra gli imprenditori più importanti dell’isola. La serie è ispirata dal romanzo di Stefania Auci che ha scritto anche un secondo volume, L’inverno dei Leoni che chiude la storia dei Florio e che potrebbe essere la base di una seconda stagione.
I Leoni di Sicilia la recensione
Tre puntate su 8 per una miniserie come I Leoni di Sicilia non bastano per avere una visione completa del racconto, ma bastano per farsi un’idea del prodotto che si ha davanti. I Leoni di Sicilia è una miniserie che racconta chi eravamo non solo da un punto di vista storico ma anche da un punto di vista di produzione seriale. E purtroppo è la conferma che le piattaforme di streaming si sono poste come obiettivo di inseguire il pubblico della tv generalista piuttosto che andare a cercare un pubblico più ricercato e abituato a un linguaggio seriale evoluto e contemporaneo.
I Leoni di Sicilia è una fiction che la Rai avrebbe potuto realizzare tranquillamente 10 anni fa e non sarebbe stata poi così tanto diversa. Talvolta i nostri autori, produttori e registi sembrano specchiarsi nella bellezza del nostro territorio, della nostra storia, delle nostre maestranze artistiche, dimenticando che serve altro per fare una serie tv. Una grandiosa e pomposa forma, priva di una reale sostanza oltre quella banalmente concessa dalla storia.
La sfortuna della produzione è che da lunedì 30 ottobre su Sky e NOW in contemporanea con gli USA arriva la seconda stagione di The Gilded Age, un period drama che pur raccontando un mondo diverso, la New York di fine ‘800, ha tematiche tangenti con quelle della serie italiana come lo scontro tra l’antica nobiltà e i nuovi ricchi imprenditori, lo sviluppo industriale, la trasformazione della società. E il confronto è impossibile da sostenere. E non è solo una questione di budget ma di modalità in cui i dialoghi vengono sviluppati, in cui la sceneggiatura viene realizzata.
I Leoni di Sicilia non è una brutta serie, ma rientra in quel calderone di intrattenimento mediocre, di cui percepisci tutte le potenzialità sprecate. Manca incisività, manca la voglia di approfondire alcune tematiche e di alleggerirne altre, tutto è accennato come se si dovesse comprimere la storia in un film di 90 minuti, non viene data aria al racconto. Si percepisce una fretta necessaria per arrivare a introdurre determinati personaggi che possono essere più spendibili dal punto di vista comunicativo. Gli avversari dei Florio sono macchiette che minacciano e poi spariscono. I cambiamenti politici avvengono e passano sopra la testa della famiglia. La trasferta londinese è una scena rapida. C’è quella fretta del “questo lo dimo” di borisiana memoria.
I personaggi però non crescono in modo naturale ma appaiono calati in un contesto diverso a seconda della scena. E ne risente anche la recitazione degli attori, costretti in maschere predeterminate e con poca ariosità. Registi italiani che dal cinema passano alle serie tv spesso ribadiscono come le serie permettano un approfondimento maggiore dei personaggi, peccato che poi non lo facciano convinti che un episodio sia un film.
Probabilmente la Palermo di I Leoni di Sicilia, i suoi personaggi, i suoi colori, potranno convincere quel pubblico americano e straniero che ci vede come il luna park turistico per le vacanze, che ci immagina incagliati in quegli ambienti. Ma è una serie lontana anni luce dalla contemporaneità seriale. Le piattaforme arrivate in Italia continuano a ragionare puntando sui nomi noti sia dietro che davanti la macchina da presa, facendo prodotti che potrebbero indistintamente andare su Rai 1 o Canale 5 e su Disney+ o Netflix. L’obiettivo non è realizzare qualcosa che dall’Italia possa viaggiare fuori ma realizzare serie tv a uso e consumo interno del pubblico della tv generalista. E intanto il resto del mondo scappa. Come in tutti i settori.
La colonna sonora è un’altra nota dolente. I brani che accompagnano le scene sembrano ricalcare la moda frequente negli ultimi anni di inserire canzoni contemporanee nei period drama. Il problema è non riuscire ad avere brani importanti e inserire musica campionata vagamente contemporanea ma che contrasta le scene che vediamo. Serie come Leoni di Sicilia ci ricorda come siamo un paese vecchio non solo anagraficamente ma anche di testa.