Paradise è una serie tv che ha bisogno di quella cosa che oggi il pubblico non è più disposto a concedere a nessuno: il tempo. Dan Fogelman dopo aver destrutturato il family drama con This is Us giocando con diversi piani temporali e con i sentimenti degli spettatori, prova a fare lo stesso con un thriller-drama-psicologico di cui obiettivamente non si può dire nulla. Magari a marzo quando uscirà l’ottavo e ultimo episodio torneremo su questa serie tv carica di colpi di scena.
Questa recensione di Paradise sarà piena di non detti, di frasi sussurrate e non spiegate, anche se in fondo tutto questo rischia di trasformarsi in uno spoiler perché lo spettatore già sa che si deve aspettare qualcosa di sorprendente. Forse l’errore da parte della produzione è stato quello di rilasciare una sinossi e un trailer che sembrano appartenenti a due mondi diversi, se avessero scritto come sinossi qualcosa di più semplice come magari avrebbero indirizzato verso un genere specifico ma avrebbero fatto in modo che lo spettatore non guardasse restando costantemente in attesa di qualcosa.
Avendo avuto modo di vedere in anteprima le prime 7 puntate su 8, possiamo dire che Paradise è una serie tv pokè, in cui gli ingredienti sono stati scelti per comporre un piatto unico con tanti sapori diversi, ma a cui manca l’amalgama. La sensazione, soprattutto al primo impatto, è di trovarsi di fronte a un prodotto con un’idea interessante che però è stato forzatamente plasmato per renderlo in qualche modo simile a This Is us. Gioca con i piani temporali e le emozioni, ma lo fa, almeno inizialmente, in un modo forzoso finendo per risultare freddo. Alla fine This is Us rappresenta il fardello più grosso di Paradise perché finisce per renderlo una macedonia di parti diverse che faticano a trovare una propria linea almeno fino alla settima puntata.
Ecco la settima puntata è un gioiello della serialità. Ma di una vecchia serialità, di quella da rilascio settimanale, da costruzione narrativa sviluppata nel tempo e che non ha la fretta del binge-watching. Anzi probabilmente il binge-watching è deleterio per Paradise. Così anche la scelta di rilasciare in anticipo il primo episodio, lasciando allo spettatore il tempo di assorbire quello che ha visto, prima di lanciarsi negli altri due episodi, può essere una scelta condivisibile e azzeccata.
Il settimo episodio dà allo spettatore quello che aspettava, e glielo porta nel momento giusto di un percorso seriale. Proprio per questo, come un antico aedo, torno a ribadire il concetto con cui ho aperto questa recensione: Paradise è una serie tv cui bisogna dare il tempo di crescere e che potenzialmente nelle prossime stagioni potrà regalare molto e prendere tante strade diverse. Quando Paradise riesce ad alleggerirsi del fardello di una ricerca ossessiva dell’emozione per inseguire This is Us, è lì che spicca il volo, trova una sua identità e una sua forza.
Sterling K. Brown dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, tutta la sua bravura, riuscendo a tenere in piedi un personaggio difficile, che deve essere contemporaneamente freddo, razionale ma capace anche in questo di trasmettere emozioni. James Marsden ha trovato il ruolo perfetto con questo presidente un po’ guascone, presuntuoso, borioso, il fantoccio di una rete di ricchi e potenti. Julianne Nicholson è da applausi, ma non aggiungiamo nulla sul suo ruolo per non incappare in spoiler.
Date tempo a Paradise e finirete per trovare una nuova ossessione. Sperando di non fare uno spoiler, si può infine aggiungere come l’arte, dal cinema alla letteratura fino alla serialità, è sempre in grado di leggere in anticipo la realtà e l’umanità.
Paradise
Paradise è una serie tv carica di elementi, non perfetta, ma che ha bisogno di tempo per trovare la propria dimensione, staccandosi anche dai legami con This is Us. Arrivato al settimo episodio vi esploderà in faccia con la sua forza.
Voto:
8/10