Vorrei iniziare questa recensione (che sarà entusiastica, siete stati avvertiti) premettendo che non adoro i film storici né quelli in costume. Eppure, Rapito mi ha convinta al 100% malgrado il suo essere un film storico e conseguentemente in costume (o in abito talare, che forse è pure peggio). La pellicola di Marco Bellocchio è stata presentata in Concorso al Festival di Cannes martedì 23 maggio, uscirà in sala il 25 maggio distribuita da 01 Distribution, e si ispira liberamente al libro “Il caso Mortara” di Daniele Scalise, scritto a sua volta su un fatto reale.
Il film è una produzione IBC Movie e Kavac Film con Rai Cinema in coproduzione con Ad Vitam Production e The Match Factory , coprodotto con la partecipazione di Canal +, Cine’ + e Br/Arte France Cinéma in associazione con Film-und Medienstiftung NRW con il supporto di Région Ile-de-France.
La sceneggiatura è di Marco Bellocchio e Susanna Nicchiarelli con la collaborazione di Edoardo Albinati e Daniela Ceselli. Rapito è un esempio commovente ed eseguito alla perfezione di un cinema vecchio stile che riesce a risultare contemporaneo e che si libera dall’obsolescenza, imponente ma godibile, che si prende il suo spazio senza paura. Pazzesco pensare che il cinema italiano possa ancora fare una cosa del genere, no? E invece.
Rapito, la trama di una storia vera
È il 1858 e Bologna fa parte dello Stato Pontificio, dominato dal Papa Re Pio IX. La vita di una numerosa ma felice famiglia ebrea, quella dei Mortara, viene completamente squarciata a metà. Uno dei loro bambini, Edgardo, è stato segretamente battezzato, non si sa da chi, e quindi adesso appartiene alla Chiesa Cattolica. Proprio così. Non c’è niente che si possa fare, e il bambino, che ha appena 6 anni, viene portato via, alla volta di Roma. Il padre Momolo e la mamma Marianna faranno di tutto per riprendersi il figlio, ma la Chiesa (nella persona dei suoi emissari arcigni e soprattutto nella persona del reazionario Papa Pio IX) è nel giusto secondo il diritto canonico. L’Unità d’Italia si avvicina, scoppia il caso internazionale, i giornali parlano di Papa Rapitore, le comunità ebraiche d’Europa si mobilitano.
Rapito la recensione
Il film sdoppia e triplica i piani del racconto senza mai perdere di coesione, continua a viaggiare tra il dramma di casa Mortara e la scuola religiosa in cui viene inserito Edgardo, facendo delle tappe anche negli appartamenti privati del Papa. La vicenda, di spiccata importanza proprio perché avvenuta in un contesto storico specifico, sembra sentire lontani ma presenti gli echi della storia ma è raccontata attraverso le persone, prima di tutto. Attraverso gli occhi, i gesti e i movimenti di macchina. Lo storicismo esatto cede sotto il peso dell’umanità, della religione popolare e di palazzo, del potere, della malattia e del dolore. E questo è il punto di forza più luminoso di Rapito.
La pellicola cita (Sorrentino in almeno un paio di occasioni, con divertimento), scherza, sogna, si tende e si rilassa, ma rimane drammatica e melodrammatica nel senso più assoluto del termine. Bellocchio gioca con le religioni, con l’idea di morale, con qualche sorta di messaggio ma poi torna sempre all’uomo, ai primi piani insistiti, al dolore dell’impotenza, tutta detta nella postura dolorosa di Momolo che vede il suo bambino per la prima volta da quando l’ha perso e non sa cosa dirgli.
L’imponenza della storia, dell’uomo e del cinema tutto
Impotenza si traduce in imponenza. Il destino del piccolo Edgardo Mortara, ingannato rapito e convertito, usato come leva per spingere anche la sua famiglia a convertirsi, è scritto nella pietra dal primo istante, ineluttabile. E proprio nella pietra sembra scolpito questo film, imponente e totalizzante, costruito per meravigliosi quadri in movimento, di gusto classico, scuri. I suoi personaggi sembrano statue mobili, golem terrorizzanti e terrorizzati, irrigiditi nel potere (il Papa in primis), o nel dolore (papà Momolo e mamma Marianna, una meravigliosa Barbara Ronchi). Il finale è amaro, la composizione ad anello. Alla violenza segue violenza, o forse è proprio la violenza a generare altra violenza. Un classico istantaneo.
Il cast
Nel super cast di Rapito troviamo Paolo Pierobon nei panni di Papa Pio IX, Fausto Russo Alesi in quelli di Momolo Mortara e Barbara Ronchi in quelli di Marianna Mortara. Enea Sala interpreta Edgardo Mortara da bambino mentre Leonardo Maltese veste i panni dell’Edgardo ragazzo. Filippo Timi e Fabrizio Gifuni interpretano rispettivamente Giacomo Antonelli e il prete dell’inquisizione di stanza a Bologna al momento del rapimento. Completano il cast Andrea Gherpelli, Samuele Teneggi, Corrado Invernizzi, Aurora Camatti, Paolo Calabresi, Bruno Cariello, Renato Sarti, Fabrizio Contri, Federica Fracassi.
La recensione
Lo storicismo esatto cede sotto il peso dell’umanità, della religione popolare e di palazzo, del potere, della malattia e del dolore. E questo è il punto di forza più luminoso di Rapito. La pellicola cita (Sorrentino in almeno un paio di occasioni, con divertimento), scherza, sogna, si tende e si rilassa, ma rimane drammatica e melodrammatica nel senso più assoluto del termine. Bellocchio gioca con le religioni, con l’idea di morale, con qualche sorta di messaggio ma poi torna sempre all’uomo, ai primi piani insistiti, al dolore dell’impotenza, tutta detta nella postura dolorosa di Momolo che vede il suo bambino per la prima volta da quando l’ha perso e non sa cosa dirgli.
Voto:
9/10