Recensione Servant, stagione 3 dal 21 gennaio 2022 su Apple TV+. Il commento ai primi cinque episodi della serie che sfrutta il rapporto instaurato con lo spettatore, rischiando molto.
Da oggi, venerdì 21 gennaio 2022, su Apple TV+ è disponibile il primo episodio della terza stagione di Servant, l’horror psicologico prodotto e diretto da M. Night Shyamalan e creata da Tony Basgallop. Anche la terza stagione è composta da 10 episodi che verranno rilasciati su Apple Tv+ ogni venerdì, con un episodio a settimana.
Un rilascio diverso rispetto alle altre serie tv del servizio streaming che di solito debuttano con tre episodi e poi continuano con due a settimana. Un rilascio che quindi si adatta un po’ alla caratteristica migliore della serie, acquisita maggiormente nella seconda stagione, ossia la sua capacità di trascinare lo spettatore verso la fine nonostante la sua brevissima durata di 20 minuti. Capacità che in questa terza stagione sta un po’ scemando, almeno nella prima metà che abbiamo visto in anteprima.
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Il limbo prima della fine, che accettiamo grazie all’abitudine
Dopo una prima stagione di introduzione e una seconda di sviluppo (meglio della prima), la terza non poteva che essere più ordinaria. Entra in gioco sicuramente l’abitudine dello spettatore, che conosce ormai l’universo della serie e il modo in cui questo è raccontato. Ma questa abitudine può rappresentare un problema se non viene stravolta da un elemento disturbante.
Nei primi cinque episodi questo elemento non è ancora arrivato, Servant si trova in un limbo necessario semplicemente perchè deve attendere il momento giusto per avviare il suo corso verso la conclusione. E se la quarta stagione, già ordinata da Apple Tv+, sarà l’ultima, non possiamo che fidarci e sperare che questo prima o poi si presenti. Solo in una serie che punta le sue carte sul racconto settimanale può avere le carte in regola per puntare tutto sul rapporto che si è instaurato con lo spettatore, e rischiare di distruggerlo.
Quindi in questa prima parte l’abitudine dello spettatore può giocare un ruolo fondamentale nel riuscire a superare questo limbo. Ecco che ci ritroviamo a seguire le paure più profonde di una Leanne che vede il nemico in ogni dove. Il terrore che prova Leanne la porterà a compiere azioni che secondo lei possono minimizzare i rischi per la sua nuova famiglia, sviluppando una sorta di ossessione verso Jericho, diventando suo protettore, cosa che in qualche modo si riflette verso Dorothy, la cui vita sarà influenzata pesantemente da Leanne.
Per quanto la psicologia del terrore possa essere interessante, gli episodi però scorrono più per la loro brevissima durata, che per il contenuto. Ed è anche qui che entra in gioco l’abitudine, che sfocia in una sorta di fiducia verso il prodotto che si è creata seguendo la serie settimana dopo settimana. Una fiducia che ci permette di essere pazienti, che ci porta anche a dimenticare quanto bella è stata la seconda stagione, quanto è stata cupa, quanto è stata ironica, quanto è stata avvincente; o comunque a giustificare il fatto che quella era la fase di sviluppo della storia e che ora dobbiamo necessariamente entrare in questo limbo e sperare che la serie riesca a uscirne, e noi insieme a lei.
Voto 7 (da aggiornare a fine stagione)