Aspettando Sanremo 2022
C’è stato un momento, nella storia della musica italiana, in cui il Festival di Sanremo faceva la differenza. Su quel palco, che prima fu quello del Casinò e poi quello del Teatro Ariston, si decidevano e anticipavano mode e fortune: cosa avremmo indossato, chi avremmo visto sul piccolo schermo e ascoltato in radio, di cosa avremmo parlato per le settimane, forse i mesi, successivi.
Scandalo, cambiamento, tendenze, successi o fallimenti, tutto veniva deciso in quelle cinque serate di gennaio prima e febbraio poi, che spesso, anche in maniera tragica, cambiavano i destini degli artisti. Nelle parole di Iva Zanicchi, che il festival lo ha vinto
ben tre volte e tornerà a partecipare a Sanremo 2022: “Se toppavi a Sanremo, non ti rimaneva che andare a ballare nelle balere”.
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Il Festival di Sanremo nel passato
Nel 1958 Domenico Modugno, a Sanremo, cambiò per sempre la storia della musica e della lingua italiana. La sua Nel Blu Dipinto di Blu, infatti, scritta in collaborazione con Franco Migliacci, segnò un nuovo corso per i testi delle canzoni, che si allontanarono dal
melodramma per ricercare ispirazioni e storie in un registro più quotidiano e quindi più vicino al pubblico. Era l’ottava edizione in assoluto.
Nel 1965 un giovanissimo Bobby Solo decise di strafare: si presentò sul palco con il mascara sugli occhi. Un vero e proprio scandalo. Era la seconda edizione ad essere presentata da Mike Bongiorno, che ne presenterà in totale ben undici.
Facciamo un salto in avanti, mentre la kermesse perde in impatto, seguito e appeal. Risale al 1989 l’edizione dei “figli di”. Presentata da Rosita Celentano, Paola Dominguin, Danny Quinn e Gianmarco Tognazzi, rientrava in un’operazione di rilancio tutto sommato riuscita. Si tratta della terza più seguita di sempre.
Gli anni Novanta sono quelli delle nuove proposte, ma sono anche quelli dell’apertura al circuito alternativo. La cosiddetta quota indie diventa una certezza.
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Il Festival di Sanremo oggi
Negli ultimi anni, una patina di uncoolness pareva ricoprire Sanremo. Incapace di riflettere le mutazioni musicali, sociali e di costume, la manifestazione si era congelata nell’ambra, sempre uguale a se stessa. Inabile di fare una vera differenza nel mercato musicale, il
festival sembrava arrancare dietro ai cambiamenti, dimostrandosi capace solo di rifletterli, sbiaditi e in ritardo, sul palco.
Proprio in questa fase gruppetti di appassionati di Sanremo, di ironici commentatori divertiti dallo scollamento del festival dalla realtà, hanno cominciato a seguirlo (e commentarlo) con costanza, a recuperare le vecchie edizioni, a ragionare sulle sue modalità contemporanee sui social network.
L’edizione del 2021 ha rotto gli schemi. Timoniere Amadeus, la kermesse si è buttata coraggiosamente nel pieno della tempesta, decisa a catturare quell’hype ormai da tempo perduto. Il Festival ha inseguito disperatamente e senza vergogna i giovani, rendendosi
“memabile” e riconoscibile. Una decisione forte, che avrebbe potuto alienare gli affezionati
dell’evento e guadagnare, però, millennial e generazione Z. Il risultato? L’esplosiva vittoria dei Maneskin, che, proprio grazie a Sanremo, hanno conquistato a stretto giro l’Europa e gli Stati Uniti d’America, e torneranno trionfanti sul palco a toccare la terra dove
tutto è iniziato.
E Sanremo 2022?
Cosa aspettarsi dal futuro? Sanremo si perderà tra i flutti della corrente, snaturato e sempre troppo alla ricerca di validazione? O tornerà, con gioia dei suoi estimatori, all’immobilismo anni duemila nel giro di un paio di edizioni, arrendendosi a perdere una
competizione troppo fluida e veloce, di cui è sempre stato l’underdog?