#TBT – Throwback Thursday in serie: Alla (ri)scoperta di… The Newsroom
Nuovo appuntamento settimanale con la rubrica di Dituttounpop dedicata alla riscoperta di drama e comedy più o meno “storici” che arrivano in catalogo sui vari servizi streaming o anche piccole grandi chicche seriali e che quindi potrete recuperare con delle belle maratone di binge watching. Stavolta tocca a The Newsroom.
The Newsroom e la missione donchisciottesca del giornalismo
Dopo Great News di qualche settimana fa – e dopo una settimana di pausa della nostra rubrica – torniamo nel campo dei notiziari televisivi con The Newsroom, la serie con cui Aaron Sorkin ha voluto scrivere come da sua stessa dichiarazione “una lettera d’amore al giornalismo“. Io ora scrivo una lettera d’amore (almeno ci provo) alla serie tv, che tanto ci ha lasciato nel suo “piccolo” e che è appena ritornata in catalogo su Sky Box Sets e NOW TV.
La serie segue le vicende lavorative e personali dell’anchorman Will McAvoy, della sua nuova produttrice esecutiva MacKenzie McHale detta “Mac”, del giovane produttore Jim Harper, della stagista Maggie Jordan, di Sloan Sabbith, Neal Sampat e Don Keefer e del capo della divisione news Charlie Skinner, tutto nella fittizia rete via cavo all news Atlantis Cable News (ACN).
In un’epoca così pregna di informazione come la nostra come non ripensare al lavorone fatto in The Newsroom da Sorkin, che già aveva esplorato il dietro le quinte televisivo con Sports Night e Studio 60 on the Sunset Strip, e l’idealismo politico in West Wing (che, per inciso, trovate da poco re-inserito su Amazon Prime Video, quindi non avete più scuse per recuperare uno dei pilastri della serialità). Stavolta tocca all’idealismo giornalistico e non possiamo non iniziare con il video in apertura di articolo, la scena iniziale dello show già entrata nella storia della tv.
Un gigantesco Jeff Daniels, nei panni dell’anchorman Will McAvoy, istigato dalla domanda di una ragazza durante un programma in cui è ospite, si lancia in un monologo-“attacco” contro gli Usa e lo stato in cui versa l’America oggigiorno. Tra il pubblico, appare MacKenzie McHale, colei che sta per diventare la produttrice esecutiva di Will, con un cartello “It’s not… but it can be“. Ed è tutta in questa semplice ma potentissima frase che si racchiude l’anima di The Newsroom. Will stesso a un certo punto si definisce come “il Don Chisciotte del giornalismo”, poiché difende e insegue ciò che il giornalismo non è ma che potrebbe tornare ad essere, proprio come l’America tutta. Ed è un messaggio di grande speranza e ottimismo se ci pensiamo: tutto può tornare ai fasti di un tempo, se ci si impegna nel modo giusto e con le motivazioni giuste. Nonostante Don Chisciotte inseguisse i mulini a vento.
Lavorone fatto da Sorkin perché aveva raccontato notizie vere (quindi erano necessariamente passati un paio di anni dalle suddette notizie alla produzione e messa in onda di The Newsroom) e l’approccio dei media ad esse. Una decisione ovviamente criticata di primo acchito da molte testate che si sentirono chiamate in causa, ma non colsero che il cuore della serie era l’intento e la speranza dietro quell’approccio.
The Newsroom contiene non solo personaggi meravigliosamente caratterizzati fin da subito oltre ai dialoghi verbosi e retorici di Sorkin, che ci ricorda come vorremmo saper rispondere alle persone quando ci parlano, e non come rispondiamo (malamente) nella realtà. Anche lì, un ideale e una speranza. Con la seconda stagione si cambia leggermente registro giocando con un lungo flashback e con la terza si analizza brevemente anche il tema del passaggio della comunicazione dovuta all’avvento di internet e di come più andiamo avanti più la tecnologia caratterizzi pesantemente il lavoro di giornalista. Con un finale di serie praticamente perfetto.
La serie fece anche scoprire a noi italiani un mondo che conoscevamo poco, con i ruoli degli anchorman e dei produttori esecutivi con microfono in cuffia da noi inesistenti poiché abbiamo una struttura organizzativa delle all news e dei notiziari diversa (tornata in auge in tv l’anno scorso con The Morning Show di Apple Tv+, che racconta invece i programmi del mattino Usa).
Guest star sempre più ricorrente del serial è Jane Fonda nel ruolo di Leona Lansing, capo di ACN, pensata come una versione femminile del fondatore della CNN Ted Turner (con cui l’attrice è stata sposata dal 1991 al 2001), mentre il nome è un omaggio a due donne di successo, la business woman Leona Helmsley e l’ex AD di Paramount Pictures Sherry Lansing, che fu la prima donna a capo di un network televisivo guarda un po’. Fonda ritroverà Sam Waterston (Charlie) in Grace and Frankie di Netflix.
La serie, a testimonianza della sua identità giornalistica, andò in onda in Italia su Rai3, fortemente voluta e pubblicizzata dall’allora direttore di rete Andrea Vianello. Pur se ottenne bassi ascolti, l’intento fu davvero encomiabile.
La sigla
I crediti di apertura della serie, come spesso capita alla HBO, sono un piccolo gioiellino creativo e visivo e cambiano dalla prima alla seconda stagione mostrando un lato diverso del “dietro le quinte” del giornalismo. Se la prima puntava sui veri giornalisti che hanno fatto la storia dell’informazione, a ribadire la veridicità delle notizie raccontate nello show, la seconda si concentra sui dettagli degli “oggetti di scena” che caratterizzano una redazione. Entrambe, con quella musica in sottofondo, cullano lo spettatore e lo fanno entrare nell’atmosfera quasi favolistica del serial.
Il cast
Jeff Daniels è Will McAvoy
Emily Mortimer è MacKenzie Morgan MacHale
Sam Waterston è Charlie Skinner
Alison Pill è Maggie Jordan
Dev Patel è Neal Sampat
John Gallagher Jr. è Jim Harper
Olivia Munn è Sloan Sabbith
Thomas Sadoski è Don Keefer