Recensione Studio Battaglia la nuova fiction di Rai 1 con Lunetta Savino, Massimo Ghini e Barbora Bobulova
Studio Battaglia ha debuttato questa sera su Rai 1, martedì 15 marzo, un legal dramedy all’italiana quindi infarcito di tanta semplicità a buon mercato e soprattutto di tante storie familiari. L’ispirazione è il britannico The Split ma oltre alle differenze del sistema legislativo, la versione italiana ha inevitabilmente trasportato tutto alle nostre atmosfere da tv generalista in chiaro.
Rai 1 non può perdere il suo zoccolo duro di “over” quindi anche le storie più “coraggiose” devono essere smussate, ammorbidite per non far scappare verso altri lidi il pubblico più tradizionalista. Durante la conferenza stampa di presentazione, i presenti hanno elogiato il personaggio di Lunetta Savino per le sue taglienti battute, per il suo essere una matriarca tenace, madre e avvocato perchè conta il titolo non il genere con cui si declina. Ma tutto questo si traduce in uno sguardo truce, tirato, costantemente teso e qualche innocua battuta qua e là.
Risulta veramente difficile immaginare una fiction come Studio Battaglia inserita in un contesto internazionale. L’audiovisivo generalista italiano continua a produrre per il proprio ombelico (a parte gli inevitabili casi de L’Amica Geniale che sono stati quasi costretti a rendere internazionale per evitare che la facessero direttamente all’estero), crogiolandosi di una mediocrità che accontenta il pubblico che la guarda.
Avvocati all’italiana
Il manierismo italiano di una certa tradizione recitativa, imperversa anche in Studio Battaglia. Tutto finisce per essere così artefatto da risultare freddo, distaccato ma soprattutto senz’anima, senza passione. Come è ormai chiaro alla fiction italiana manca la costruzione delle scene riempitive, di quei momenti di raccordo tra quelli fondamentali per il racconto. Anche una colazione in famiglia viene usata per spiegare i risvolti di un caso. E l’adolescente antipatica alla “Greta Thunberg” non è un bell’aiuto per la causa ecologista.
Si respira un generale senso di superficialità nelle scelte come se fosse più importante consegnare un prodotto piuttosto che curarlo. Fino all’assurdo del finale della prima serata in cui viene aggiunto in modo improvviso una sorta di cliffangher per collegarsi alle puntate successive. La scelta del caso orizzontale, con una Carla Signoris lontana dall’ottima prova di Monterossi, rischia di catturare poco lo spettatore. Il divorzio Parmegiani coinvolge solo in modo tangente i protagonisti, è parte del loro lavoro. Mentre la buona serialità internazionale ci insegna come almeno nella prima stagione il caso orizzontale dovrebbe coinvolgere in prima persona i protagonisti.
Studio Battaglia, in conclusione, ci prova ma non ci riesce. O forse siamo noi da questi lidi poco abituati alle formule della fiction italiana da generalista. Alla fine Studio Battaglia potrebbe rivelarsi un piacevole intrattenimento.