Ted Lasso torna dal 15 marzo e per le successive 12 settimane (la terza stagione è composta da 12 episodi) su Apple Tv+. Una terza stagione di Ted Lasso che molto probabilmente sarà anche l’ultima perchè un po’ tutti, a partire da Jason Sudeikis che ne è protagonista oltre che co-autore, hanno fatto capire che sarà così e che il percorso che volevano raccontare terminerà con la terza stagione. Poi potrebbero esserci degli spinoff ma questa è un’altra storia.
Anche se sarà la fine di Ted Lasso non bisogna essere tristi. La consapevolezza di aver chiuso un cerchio è fondamentale in un progetto ed è sempre una qualità apprezzabile delle produzioni seriali. Ma dopo aver visto le prime quattro puntate della terza stagione la sensazione che si sia arrivati al momento giusto per chiudere è davvero molto forte. La favola sul calcio non può durare troppo a lungo, ci sono aspetti di credibilità che soltanto gli americani possono accettare senza porsi troppi dubbi.
Ted Lasso 3 la recensione (senza spoiler)
Quando si parla di serie tv storiche si ricorda sempre come non siano documentari per giustificare la libertà creativa degli autori. La stessa cosa bisogna fare con Ted Lasso ricordando come il calcio sia soltanto uno spunto, uno spazio all’interno del quale costruire un racconto. Altrimenti sarebbe da mettersi le mani nei capelli per l’eccessiva semplificazione di alcune dinamiche sportive calcistiche, soprattutto tra calcio mercato e gestione del campo. Aspetti ancora più accentuati in questa terza stagione che vede il Richmond sbarcare in Premier League.
Ted Lasso è una favola rassicurante, un racconto positivo che allarga il cuore e lo spirito, che non provoca lo spettatore, lo coccola portandolo nel proprio mondo. Forte del successo di critica (e forse di pubblico) delle prime stagioni, la terza stagione si crogiola nella propria bellezza, allungando il minutaggio degli episodi per allargare sempre più il raggio d’azione dei personaggi. Quasi a voler preparare i potenziali spinoff Ted Lasso rende tutti importanti, tutti protagonisti da Keeley (Juno Temple) ai vari calciatori. La serie ha l’aria di chi è consapevole di essere intoccabile e quindi di potersi permettere tutto, ma non osa mai, si limita a seguire un percorso già tracciato finendo per ripetere sketch e situazioni e faticando a far anche solo sorridere.
Perdendo l’anima pura da commedia surreale, alcune caricature finiscono per essere troppo esagerate rispetto al tono complessivo che si vuole dare alla serie tv. Così il personaggio di Roy portato all’estremo rischia di risultare eccessivamente caricaturale, essendo diventato iconico. Nate al West Ham insieme a Rupert incarnano i perfetti villain di stagione, anche se pronti alla redenzione come è insito nello spirito della serie. Come in altre situazioni di serie tv di successo, anche Ted Lasso finisce per cedere alle richieste dei fan senza tentare di disturbare uno status quo. Le puntate allungate sembrano più rispondere all’esigenza di dare spazio a tutti piuttosto che di raccontare qualcosa. Si crea sempre più una certa distonia tra l’anima assurda dei personaggi descritti e l’andamento della narrazione che forza situazioni per rispondere alle esigenze dei personaggi.
Paradossalmente le scene migliori sono quelle legate alle situazioni di campo o di spogliatoio, quelle che coinvolgono i calciatori e gli allenatori, tra cui un Beard sempre più consapevole del suo ruolo di anima comica della serie. Tutto il resto assume la forma di un contorno che ha fin troppo spazio. In un tempo cupo, in un’epoca fatta in cui l’arroganza prevale sulla gentilezza abbiamo bisogno di una serie come Ted Lasso per rassicurarci. Ma senza esagerare troppo negli entusiasmi.
Summary
Ted Lasso assume sempre più i contorni di una favola moraleggiante a sfondo calcistico, con l’obiettivo di dimostrare la forza del collettivo contro gli egoismi del singolo. La durata eccessiva delle puntate è sintomatica del successo ottenuto dalla serie, incapace di ridurre gli spazi per non scontentare nessuno.
Voto:
7/10