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The Apprentice: il ritratto delle origini di Trump ha gli artigli affilati — La recensione

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A un paio di settimane da una delle elezioni USA più tese della memoria recente, ci pensa Ali Abbasi a gettare benzina sul fuoco con The Apprentice, una dentuta rappresentazione dei primi anni di Donald Trump distribuita nelle sale italiane dal 17 ottobre da Bim Distribuzione.

The Apprentice: il Karate kid del business

Prima regola: attaccare, attaccare, attaccare.
Seconda regola: non ammettere nulla, negare tutto.
Terza regola: indipendentemente da quello che succede, dichiarare vittoria e mai ammettere la sconfitta.

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New York, anni ‘70: la città è un vortice di crimine, corruzione e peccato. Il giovane Donald Trump riscuote gli affitti delle case popolari possedute dal padre, ma sogna molto più in grande: vorrebbe rilevare un vecchio hotel in una delle parti più degradate di Manhattan e renderlo l’albergo più lussuoso del mondo, ma nessuno è disposto a dargli una lira o un minimo di credito. Nessuno, finché non incontra Roy Cohn, controverso avvocato che lo prende sotto la sua ala e lo introduce ai circoli del potere newyorkese. È da Roy che Donald impara i tre comandamenti per il successo in un mondo di squali, ed è grazie a lui che inizia a vedere i primi successi e a far decollare il progetto dell’hotel. Ma col passare degli anni la loro relazione si evolve da maestro-allievo a un rapporto fra pari, e si iniziano a vedere le prime incrinature…

Più bromance che biopic

The Apprentice getta uno sguardo tra l’analitico e il provocatorio al modus operandi trumpiano: raccontando un capitolo precedente della vita del businessman cerca di spiegare i meccanismi di della successiva carriera politica. Ma tutto questo è molto meno rilevante di quello che sembra: The Apprentice è la storia della relazione fra Trump e il suo mentore, e se funziona è perché sa concentrarsi su questa storia, lasciando le inferenze sul presente nelle note a margine. Anche se i personaggi di Donald Trump e Roy Cohn fossero completamente inventati e privi di paralleli col mondo reale il film rimarrebbe una bromance serratissima, appiccicosa e crudele.

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The Apprentice: massimalismo gretto

Dall’alta società newyorkese degli anni ’80 ai fasti di Mar A Lago, l’universo dipinto da The Apprentice è impressionistico e squallido quanto basta, pieno di marmo e sudore, modelle, meschinità e pescecani. Col passare del tempo l’immagine cambia (passando dal granuloso 16mm degli anni ’70, al video, al digitale) ma non perde mai la sua energia nervosa e frenetica, fatta di crash zoom e montaggi da nausea. The Apprentice è un film diverso da quello che uno si aspetta guardandolo da fuori: a tratti buffo e a tratti agghiacciante, il nostro consiglio è quello di ignorare i giudizi (spesso politicamente schierati) al riguardo e andare a giudicarlo per conto vostro.

Il cast

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Sebastian Stan interpreta il giovane (e meno giovane) Donald Trump; un Jeremy Strong in gran forma è il torbido Roy Cohn, mentre Maria Bakalova è Ivana, che diventerà la prima moglie di Trump. 

La recensione

Anche se i personaggi di Donald Trump e Roy Cohn fossero completamente inventati e privi di paralleli col mondo reale, The Apprentice rimarrebbe la storia di una bromance serratissima, appiccicosa e crudele. Sorprendente.

Voto:

8/10
8/10
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