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The Bear 3, opinioni a confronto: una stagione (troppo) di passaggio che beneficia della gloria passata

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La terza stagione di The Bear è arrivata anche in Italia, dal 14 agosto su Disney+ in streaming con tutti gli episodi. Ma cosa ci aspetta in questa terza stagione di The Bear? Si sarà mantenuta all’altezza delle aspettative oppure no? Ecco i nostri commenti ai nuovi episodi senza spoiler ma con qualche perplessità.

The Bear 3, il rammarico di un fan accanito

La doverosa premessa è che per me le prime due stagioni di The Bear sono di un livello qualitativo e narrativo altissimo. Regia, sceneggiatura, cast, fotografia, colonna sonora: un 9 pieno, che sfiora il 10 se penso a Fishes (episodio 2×06). Oggi farò un’eccezione e darò il mio voto alla stagione 3 senza aspettare la fine di questo commento: 6.5. Una sufficienza che mi pesa e mi rammarica. Mi aspettavo molto da questo nuovo capitolo: l’asticella era bella alta dopo due stagioni magnifiche, non potevo pensare che le mie aspettative venissero disattese in questo modo.

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E invece, eccoci qui a spiegare perché questa season 3 non mi abbia convinta. Per riassumere in una frase il motivo principale, direi che è perché si tratta di un esercizio di stile di Christopher Storer in cui la storia centrale viene meno. Non fraintendetemi, ci sono delle cose che restano bellissime: la regia e il montaggio con linee temporali e prospettive diverse che esplorano diverse storyline, la colonna sonora che “parla” e diventa quasi parte integrante della sceneggiatura, il cast sempre di una bravura immensa, le ambientazioni (tornano Copenhagen e il NOMA) perfette, il ritmo serrato (forse troppo in alcuni episodi) che toglie il fiato.

Tutto ciò però, porta a episodi quasi del tutto privi di trama, a scenette comiche riempitive – tra i Fak – che fanno soltanto perdere tempo nel minutaggio delle puntate (tutte sulla mezz’ora, eccetto le ultime) e un finale poco concreto e soddisfacente – a differenza degli altri due – che si fa forte di una quarta stagione già annunciata e lascia lo spettatore come alla fine di una cena superba ma senza dessert. 

E nonostante la cucina continui a essere la metafora della lotta nella vita dei propri traumi interiori e col passato, un concetto estremamente intrigante, in questo capitolo è proprio la vita nel ristorante a venire meno, e a lasciare interdetti. Perché va bene affrontare e superare i traumi, va bene metterli in scena e scontrarsi con essi, ma in 10 episodi non è possibile che accada così poco tra le quattro mura del locale che per due anni abbiamo visto nascere e aprire. In questa terza stagione è infatti la sceneggiatura a fare un passo indietro: la storia rallenta, la parte di workplace dramedy si arresta un bel po’, il ristorante rimane marginale, quasi sullo sfondo, e la stagione è a tutti gli effetti un emotional drama. Ben recitato, ben rappresentato, non fraintendetemi, ma troppo incentrato sulle emozioni e poco sull’evolvere della storia in generale. 

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Ampio spazio viene dato ai personaggi secondari – con poco impatto sulla trama generale però – molto meno quello riservato ai protagonisti: Carmy è pressoché assente un alcuni episodi, troppo silenzioso in altri, eccessivamente impegnato a impiattare in balia delle sue ossessioni nella maggior parte del tempo. La storia è meno corale, meno convincente, meno memorabile. Si lascia guardare, la fotografia è sensazionale, la regia anche nonostante il montaggio sia a tratti talmente serrato da risultare ridondante.

Una nota di merito va indubbiamente a due episodi: l’episodio 6 (Napkins) diretto da Ayo Edebiri e incentrato sul personaggio di Tina, splendido nella fotografia e nel montaggio ma anche qui, poco utile ai fini della trama; e l’episodio 8 (Ice Chips) notevole, si avvicina molto a Fishes (2×06) per drammaticità e tematiche e nell’affrontare il trauma di Sugar con sua madre. Io l’ho trovato struggente e grazie alla performance delle due attrici protagoniste, Abby Elliott e Jamie Lee Curtis, lo reputo il migliore della stagione.

Adesso toccherà aspettare – presumibilmente – un altro anno per capire cosa accadrà, con una fame atavica che solo una quarta stagione da 10 potrà colmare. Giorgia Di Stefano

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L’errore dell’alunno secchione

Parto da una frase detta nel commento precedente “si tratta di un esercizio di stile di Christopher Storer”. Basta questo, dal mio punto di vista per spiegare il fallimento di questa terza stagione di The Bear. Crogiolandosi nel suo stesso successo, la serie si avvita su se stessa, incapace di andare avanti complice la consapevolezza che ci sarebbe stata una quarta stagione. Non a caso il decimo episodio si chiude con un fastidiosissimo “To Be Continued” che è quello che viene usato dai procedurali americani in quei rari casi di puntata con una storia che si conclude nella puntata successiva. Peccato che qui arrivi alla fine della terza stagione.

I problemi più grossi di The Bear sono quindi tutti di natura tecnico/produttiva. Storer ha infarcito questa stagione di momenti vuoti riempiti di quello per cui tutti lo hanno esaltato: la scelta musicale. Peccato che se risulti fine a se stessa diventi solo un ridondante elemento di disturbo. Ha infilato i Fak in ogni momento possibile per potersi continuare a definire una comedy, rappresentando questi personaggi l’elemento comico, come un Nando Martellone qualunque. Ma le loro scene sono fastidiose, urticanti nel rapido scambio di battute, soprattutto sono superflue.

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La terza stagione di The Bear è piena di scene superflue, probabilmente grattandole via tutte si potrebbe arrivare a 3-4 puntate di un dramedy da 30 minuti. Questo perché il piano che avevano in mente è stato elaborato su due stagioni e così diventa praticamente certo il fatto che la quarta stagione sarà l’ultima, perché si sta andando verso la conclusione di un percorso e anche i suoi attori da Ayo Edebiri, Jeremy Allen White e Ebon Moss-Bachrach sono presi da nuovi progetti.

Manca totalmente l’aspetto lavorativo del ristorante, si fatica a seguire la scansione temporale, si perde ogni tipo di approfondimento dei personaggi e del contesto. A tratti ci sono scene che potrebbero essere significative ma che sembrano avulse dal resto. E proprio le puntate “monografiche” le due citate nel precedente commento, sono le migliori. Non a caso in entrambe c’è una costruzione narrativa coerente e non caotica, sincopata come nelle altre.

The Bear è diventato quell’alunno bravo, coccolato dai professori, che sa di poter fare il minimo per ottenere il massimo e per questo si concentra su altro. Purtroppo però il mio grado di empatia è molto più basso di chi mi ha preceduto e per me andare oltre il 5.5 è fare un torto al resto delle altre serie tv. Riccardo Cristilli

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The Bear

  • Giorgia Di Stefano - 6.5/10
    6.5/10
  • Riccardo Cristilli - 5.5/10
    5.5/10

The Bear 3

The Bear 3 non ci ha convinto perché si tratta di un esercizio di stile di Christopher Storer in cui la storia centrale viene meno. Inoltre è una stagione di passaggio rispetto a quella che sarà probabilmente la stagione finale.

Voto:

6/10
6/10
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