La nuova serie originale italiana The Good Mothers dopo aver vinto il “Berlinale Series Award” alla 73° edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino, è arrivata su Disney+ e ci è sembrata un prodotto importante e necessario, come potete leggere nella nostra recensione a più voci. La serie racconta la ‘ndrangheta interamente dal punto di vista delle donne che hanno osato sfidarla. In occasione della presentazione a Roma The Good Mothers (qui la scheda completa) abbiamo incontrato registi e cast ed ecco cosa ci hanno raccontato.
The Good Mothers, video intervista ai registi Julian Jarrold e Elisa Amoruso e agli interpreti Francesco Colella e Andrea Dodero
Perché secondo voi le storie di mafia funzionano ancora molto soprattutto a livello internazionale? Rischiamo di venire visti poi solamente come tali all’estero o rimane comunque un importante elemento di denuncia?
Andrea Dodero: Proprio per questo credo di no, perché si tratta di una serie atipica e come abbiamo detto più volte ma è sempre bene precisarlo, non racconta il crimine come è stato fatto in precedenza, fin dal Padrino si racconta un certo tipo di criminalità cercando di valorizzare e giustificare delle azioni o comunque dare un’anima. In questo caso abbiamo preso la storia così com’è e c’è una posizione ben precisa da parte degli autori, quindi non credo sia fraintendibile.
Elisa Amoruso: Credo che le storie di mafia siano ancora attuali innanzitutto perché esistono e poi penso che l’audience internazionale ne sia continuamente attratto, fin dai tempi del Padrino. In particolare perché queste forme di criminalità organizzata si basano sul legame della famiglia. Per tutte le persone che nascono all’interno di queste famiglie si instaura fin dall’inizio della loro vita un ricatto sentimentale, di violenza e costrizione, in cui fai parte di un sistema, devi essere soggetto a quelle regole e allo stesso tempo devi compiere dei gesti criminali che tengano unita la famiglia.
È qualcosa di molto specifico e particolare. Quello che noi abbiamo fatto a differenza di tutto ciò è stato fatto finora, è stato mettere la lente d’ingrandimento su ciò che veniva considerato l’anello debole di questi sistemi, ovvero le donne. Dal loro punto di vista quindi queste sono storie di fortissima denuncia perché tutto ciò che accade è solo violenza e costrizione, quindi è veramente una mancanza di libertà che è necessario ancora di più diffondere in tutto il mondo.
Francesco Colella: A fianco di una lunga tradizione di racconti e narrazioni sulla mafia attraverso il cinema e la serialità, dove c’è una fascinazione epica è bene sperimentare nuovi racconti come in The Good Mothers che poi non sono nemmeno nuovi ma sono stati meno battuti. Partono forse da un tipo di indagini che facevano Francesco Rosi o Elio Petri cioè autori, sceneggiatori e registi che prendono una posizione morale, un punto di osservazione dal quale si schierano per guardare il mondo e raccontarlo anche criticamente, per sollevare riflessioni e indignazioni, anche perché realtà del genere sono presenti nella nostra esistenza, e quindi ammantarle di questa fascinazione epica non ci fa bene.
Julian Jarrold: Spero sia un nuovo punto di vista il nostro (ride). Abbiamo provato ad evitare il glorificare la mafia, e concentrarci sulle conseguenze per chi è intrappolato in quel mondo, dal quale in un’altra vita sarebbe potuto magari scappare, e avere una vita normale. Penso che il dilemma morale che le nostre protagoniste affrontano sia da un lato il legame e la lealtà che le tengono strette alle rispettive famiglie, e dall’altro il poter riuscire a fuggire da tutto ciò e fornire le prove alla polizia, rischiando di avere una maggiore libertà e una casa sicura in Italia ma vivere nel pericolo costante di essere trovate.
La ’ndrangheta non è solo in Calabria, in Italia, ma in tutta Europa, quindi è importante parlarne. Io da britannico non l’avevo sentita eppure la sua influenza è tanto a Londra quanto in altre capitali europee. Nella nostra serie cerchiamo di arrivare all’origine e al nocciolo del suo sviluppo.
The Good Mothers, video intervista al cast Gaia Girace, Valentina Bellè, Barbara Chichiarelli, Simona Distefano e Micaela Ramazzotti
Come è stato approcciarsi a questo mondo che sembra così lontano e retrogrado dal nostro e invece esiste praticamente dietro casa?
Valentina Bellè: Tutte noi mi pare conoscessimo la storia di Lea Garofalo, mentre quella di Giuseppina Pesce e Concetta Cacciola no. Innanzitutto è stato scoprire le loro storie e la documentazione che era disponibile, di Giuseppina molto poco in realtà, di Concetta molto di più. Abbiamo avuto modo di incontrare e di parlare con due testimoni di giustizia. Una in particolare mi è rimasta impressa, scappava da una situazione di Camorra a settembre scorso, e questo mi ha effettivamente colpito, perché la sua storia era particolarmente drammatica. Purtroppo sono storie che continuano ad essere reali. Naturalmente sentire queste testimonianze ti responsabilizza ulteriormente, se non bastasse già il fatto che sono storie vere.
Come siete diventate i vostri personaggi, come siete diventate calabresi anche nell’accento, nel modo di porsi? Che tipo di lavoro avete fatto anche tra di voi e che avventura è stata?
Simona Distefano: Io sono siciliana, quindi in qualche modo sento vicino questo mondo, però mi sono anche resa conto quanto invece la Calabria sia poco conosciuta. Quando si pensa al Sud Italia, pensiamo alla Sicilia, alla Campania, magari alla Puglia, mentre la Calabria è rimasta sempre un po’ così, non è mai stata raccontata bene. Quindi devo ammettere che è stata una scoperta anche per me.
Poter conoscere quella terra anche da un punto di vista paesaggistico, perché dice natura la natura della Calabria con le sue montagne impervie. C’è questa ripresa, non ricordo se nel primo o secondo episodio, che dal basso va verso l’alto e rivela proprio un mondo quasi a parte mi viene da dire, quasi nascosto all’interno da queste montagne. Per me è stata una scoperta molto fascinosa.
C’è una battuta – o una scena in particolare – che vi hanno lasciato i vostri personaggi che è rimasta con voi anche dopo aver chiuso il set?
Micaela Ramazzotti: Sento di soffrire di perdita della memoria breve come Dory (ride).
Valentina Bellè: A me viene in mente “Mi trovaranno. E lo sai pure tu” che era questa paura fortissima di Giuseppina una volta entrata nel programma di protezione. Mi aveva colpito la sua ossessione di essere trovata, perché la comprendevo.